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ILLEGITTIMA DIFESA PER START UP DEL CRIMINE: BUSINESS 2.0?

30 Gennaio 2016
in Editoriale
Editoriale di Claudio Gori

Il Bel Paese, non il noto prodotto caseario, sebbene terra di eccellenti latticini, attraversa da molti anni uno stato ansioso di giurisprudenziale cronica e apparente attività di impunità, totale o parziale, del reo di crimini o delitti, provocando spesso all’onesto cittadino serie di devastanti violenze psicologiche per impotenza e sudditanza.

“Vivi e lascia vivere” appare uno stile di vita preistorico, “Porgi l’altra guancia” una imposizione spirituale per un bipede bestiame sempre più impoverito di valori, forse al fine di domarlo anche mediaticamente con messaggi, video o immagini assemblate ad arte: un abito multimediale da fare indossare a pedine utili e non indispensabili, strisciandole lungo la pedana della vita.

Sempre più assistiamo alla voracità indotta del “volemose bene”, dimenticando l’altrui diritto alla sicurezza, al lavoro, alla salute ed alla difesa personale, nonché della proprietà privata: il “colossal” delinquenziale, spesso non a lieto fine, riscuote interpretazioni in una intricata matassa di leggi e leggine, in cui non sempre il “nodo viene al pettine”. Le aule dei tribunali italiani manifestano il principio costituzionale de “La legge è uguale per tutti”: ecco il nodo al pettine e da sciogliere, “uguale per tutti” chi? “E’ uguale” per cosa? Quesiti che aggrediscono le vittime che ritengono di non avere ricevuto giustizia, nonostante la loro vantata evidenza dei fatti.

La Giustizia deve fare il suo corso, districandosi tra cavilli e infinite norme maneggiate con cura dal legale del reo: al Giudice l’onere di applicazione secondo interpretazione, rispetto della normativa e indiscussa buona fede. L’atmosfera popolana stride, il cittadino italiano sembra stanco e vorrebbe ribellarsi all’applicazione di leggi che appaiono colpire maggiormente la vittima che tenta di difendere la propria vita o proprietà; le norme penali italiane reclamano maggiore attenzione del legislatore e, comunque, la valutazione dei singoli casi non può essere paragonata ad altri. Un crimine parallelo sarebbe la dimenticanza di coloro che subiscono violenza fisica e psicologica, entrambi devastanti.

Veneto, notte tra il 25 e 26 aprile 2012, località Civè di Correzzola, provincia padovana: il tabaccaio Franco Birolo, 47 anni, reagisce ad una rapina in corso nel suo negozio, sparando e uccidendo il ladro. Birolo abita al piano superiore della tabaccheria: quella notte udì strani rumori provenienti dall’interno di essa. Prese la pistola, regolarmente detenuta, e si recò subito nel negozio: faccia a faccia con due banditi che avevano appena sfondato la vetrina: il tabaccaio sparò un colpo, raggiungendo al petto Igor Ursu, il rapinatore moldavo di 20 anni che, nonostante la ferita, tentò di fuggire, cadendo esanime in strada, vicino ad una Fiat Punto piena di refurtiva, risultata poi rubata. Il complice di Ursu si arrese. Birolo era sceso per difendere la proprietà e la famiglia, ma la reazione del ventenne indusse il tabaccaio a sparare per difendersi dall’aggressione improvvisa del criminale che tentò di saltargli addosso. La versione dell’aggressione è avvalorata dalle perizia balistica secondo la quale lo sparo è avvenuto da distanza ravvicinata: meno di mezzo metro.

La vicenda di Civè di Correzzola ha suscitato attenzione mediatica nazionale, opinioni e interpretazioni sulla legittima difesa o eccesso di essa: Birolo, imputato per eccesso colposo di legittima difesa, ha dovuto attendere il rinvio al 28 gennaio 2016 a causa del fine turno del cancelliere, poiché al pomeriggio non era prevista copertura economica per l’elevato costo degli straordinari.

Il giorno successivo alla rapina Birolo venne indagato per omicidio volontario, poi il PM chiese l’assoluzione per legittima difesa putativa; la famiglia del rapinatore ucciso contestò gli eventi e la richiesta di assoluzione: il loro legale dichiarò che il ventenne non tentò di lanciare oggetti contro il tabaccaio o di aggredirlo, poiché aveva le mani libere, chiedendo così un risarcimento iniziale di 100 mila euro per il danno subito dalla perdita di un figlio, riservandosi ulteriori risarcimenti.

Il 28 gennaio scorso Fabio Birolo è stato condannato a due anni e otto mesi, oltre al risarcimento di 325 mila euro alla mamma e alla sorella del bandito ucciso. La sentenza ha lasciato sbigottiti e infuriati molti cittadini italiani che, nelle pause caffè o al bar, tentano di riflettere e comprendere: “Perchè il PM Benedetto Roberti ne aveva chiesto l’assoluzione avvalorando il gesto di difesa, ed oggi il tabaccaio è costretto a subire la condanna?”,  “Conviene delinquere e sistemare economicamente la famiglia in caso di rischio di morte? Mal che vada, se si sopravvive al reato, si esce dopo pochi giorni…”.

Le sentenze si accettano, non si criticano: per molti, evidentemente, alcune risultano indigeribili.

Gli attacchi mediatici nei confronti del Giudice di Padova, dott.ssa Beatrice Bergamasco, hanno indotto l’Ordine degli Avvocati di Padova a inviare a tutti gli iscritti, in data 29 gennaio, il seguente comunicato di solidarietà: “La dott.ssa Beatrice Bergamasco, Giudice del Tribunale di Padova, è sottoposta in queste ore ad un violento attacco, anche mediatico, di natura personale, conseguente all’esercizio dell’attività giurisdizionale in un procedimento penale per un reato di eccesso colposo in legittima difesa. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova esprime la propria solidarietà nei confronti della dott.ssa Bergamasco, che svolge la propria attività quotidiana di Giudice nel nostro Tribunale con scrupolo e serietà. In uno Stato democratico la funzione giudicante, soggetta soltanto alla legge, deve potersi svolgere nella piena libertà di coscienza. Le sentenze possono essere criticate e impugnate, senza mai però trascendere i limiti del rispetto delle Istituzioni e delle persone”.

Altri casi hanno scosso l’opinione pubblica:

  • Graziano Stacchio – 66enne, benzinaio vicentino di Ponte di Nanto (VI); il 3 febbraio sparò e uccise uno dei rapinatori di una gioielleria nelle vicinanze del suo distributore. Assolto, dichiarò successivamente “Io ho ucciso. Difendersi è sacrosanto“: gli puntarono contro il kalasnikov;
  • Ermes Mattielli – 62enne, rigattiere vicentino: sparò a due nomadi sorpresi a rubare cavi di rame nel suo magazzino, nella notte del 13/06/2006, dopo avere subito numerosi furti in passato. Mattielli non uccise, ma li ferì entrambi. Il 09/10/2015 è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione, oltre un risarcimento di circa 135mila euro ai due nomadi. Ermes Mattielli morì di infarto e, beffa del destino, la sua eredità andrà ai ladri a titolo di risarcimento.
  • Meno noto il caso del pensionato 71enne Giuseppe Caruso: rischia una condanna fino a 21 anni e 6 mesi di carcere per omicidio volontario, su richiesta dell’accusa: il 25/04/2013, dopo numerose rapine, sparò al ladro sul suo fondo agricolo, colpendolo a morte: il PM non interpretò la legittima difesa. In una analisi più ampia di essa, l’avv. Giuseppe Lipera e legale di Caruso, in una intervista rilasciata al quotidiano Il Giornale (23/10/2015, di Giuseppe De Lorenzo) affermò che “Il problema non è la legge, ma i magistrati: che la interpretano come vogliono […] Le leggi sono equilibrate, dipende solo ed esclusivamente da chi le interpreta: ovvero dal giudice. E’ l’deologia di certi magistrati a decidere se questo o quel caso è omicidio volontario e non legittima difesa. Non scherziamo! Omicidio volontario è quando io decido ‘volontariamente’ di uccidere una persona, non se reagisco per difendermi”.

La prescrizione dei processi per reati penali ha raggiunto circa il 70% dei casi, nonostante lo sforzo delle forze dell’ordine costrette a rischiare quotidianamente la loro incolumità con mezzi e strumenti ritenuti insufficianti: nessuna condanna, nessuna assoluzione e i reati rimangono spesso impuniti a causa della durata eccessiva dei processi. Non è qui intenzione valutare i casi di assoluzione, prescrizione o condanna, poiché ogni singolo caso non è paragonabile ad altri, sebbene simili. La Corte di Giustizia Europea impone all’Italia di ignorare la prescrizione e procedere fino a sentenza.

Il timore personale è un incorretto orientamento all’azione di esasperati cittadini o alla vendetta per mano della vittima. Al contrario, taluni potrebbero a loro volta male interpretare gli eventi quale nuova opportunità di innaturali Start Up del crimine.

Tags: editoriale
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