di Gori Claudio, direttore (direttore@irog.it)
È bastato un post, pubblicato nel pomeriggio di ieri dal consigliere comunale Luigi Tarzia, per accendere i riflettori su una vicenda che rischia di diventare un caso politico e forse sociale. Una moschea abusiva – così viene definita – sarebbe stata scoperta all’interno di un ex negozio di alimentari, nel cuore della città. Non in periferia, non in una zona industriale, ma a ridosso di abitazioni civili.
“Un fatto che non può più essere ignorato”, scrive Tarzia, che non è nuovo a sollevare questioni legate al decoro urbano e alla sicurezza. “Serve una regolamentazione chiara che tuteli sia il diritto al culto che le regole urbanistiche”, aggiunge, chiedendo alla politica di “non chiudere gli occhi”.
Secondo le prime indiscrezioni, l’ex negozio sarebbe stato adattato in modo rudimentale: tappeti per la preghiera, impianti non a norma, assenza di autorizzazioni, e soprattutto nessun confronto con i residenti della zona, che ora sembra si dicono “preoccupati” per il via vai e per la mancanza di trasparenza.
Una realtà che non è nuova. A Padova – come in molte città italiane – la mancanza di spazi ufficiali per il culto islamico ha portato negli anni alla nascita di decine di piccoli luoghi di preghiera informali. Alcuni regolarizzati, altri semplicemente tollerati. Ma quando spuntano in zone residenziali, la frizione è inevitabile.
A distanza di pochi mesi dalla fine del Ramadan – periodo in cui si registrano i picchi di afflusso nei luoghi di preghiera – Tarzia torna a lanciare un appello alla politica locale: “Ho già sollecitato una riflessione seria, trasparente. Ora è il momento delle scelte responsabili”.
L’equilibrio tra libertà religiosa e rispetto delle norme urbanistiche e di sicurezza è una questione delicata. Ma lasciarla senza risposta – o peggio, continuare a ignorarla – significa alimentare tensioni, favorire soluzioni clandestine e rendere ancora più difficile il dialogo tra comunità.
Padova è una città che ha sempre saputo accogliere. Ma accoglienza non può significare improvvisazione né silenzi complici. La questione dei luoghi di culto “fuori norma” non è solo un tema tecnico o amministrativo: è uno specchio della convivenza in una città che cambia in fretta e non sempre in modo ordinato.
Non si tratta di chiudere porte, ma di aprire tavoli. Di non lasciare la regia ai post social, ma di affrontare il tema in consiglio comunale, nei quartieri, con le comunità coinvolte.
Perché dietro una saracinesca abbassata può nascondersi un pericolo, un’opportunità mancata, oppure semplicemente un bisogno non ascoltato.






















