In una Piazza San Pietro illuminata dalla luce calda del tramonto, gremita di fedeli e attraversata da un silenzio carico di attesa, Papa Leone XIV ha celebrato la veglia di Pentecoste con un’omelia intensa, profonda e radicata nel presente. Al centro del suo messaggio, la potenza trasformatrice dello Spirito Santo, ma soprattutto un appello forte alla sinodalità: non una parola astratta, ma la strada concreta su cui la Chiesa è chiamata a camminare oggi, in mezzo alle fratture del mondo.
“Dio non è solitudine”, ha detto il Papa. “Dio è ‘con’: Padre, Figlio e Spirito Santo. E con noi. La sinodalità è la forma di Dio e la forma della Chiesa.”
Con tono familiare e autorevole, il Pontefice ha parlato di una Pentecoste che non è solo memoria, ma energia viva: “Lo Spirito che discese su Gesù – ha ricordato – è lo stesso Spirito che oggi ci coinvolge nelle cose nuove che Dio fa”. Un coinvolgimento che chiama a conversione concreta, al rifiuto delle “volontà di morte” e alla costruzione di un mondo in cui “la terra possa riposare, la giustizia affermarsi, i poveri gioire, la pace tornare”.
Una Chiesa “con” e “in cammino”
Nel cuore dell’omelia, un’immagine potente: non siamo consumatori della terra, ma pellegrini chiamati ad armonizzare i nostri passi con quelli degli altri. Il Papa parla con linguaggio semplice e profondo: “Non più ognuno per sé. Non come predatori, ma come custodi e coltivatori”. Un messaggio che riecheggia l’enciclica Laudato si’, citata esplicitamente come bussola spirituale ed ecologica per la contemporaneità.
Il Giubileo alle porte – definito come “anno di grazia del Signore” – è letto come fermento di cambiamento, di fraternità reale, non come evento rituale. In questo senso, Papa Leone XIV insiste: “Siate palestre di fraternità e spiritualità. Dove c’è lo Spirito, c’è libertà”.
La sinodalità non è un’opzione, è la forma del Vangelo
Il termine “sinodalità”, più volte al centro del pontificato, è tornato con forza, ma in una luce nuova. Non come semplice struttura ecclesiale, ma come stile di vita, come “coscienza che ci immerge nell’umanità come il lievito nella pasta”. Non bastano forme comunitarie organizzate, ha detto il Papa, se non diventano luoghi in cui il Vangelo si rende visibile nelle relazioni, nella contemplazione, nella giustizia.
“Anche il più originale dei carismi appassisce se si isola. L’evangelizzazione non è conquista, è grazia che si diffonde da vite cambiate.”
In un passaggio molto sentito, Leone XIV ha invitato le comunità e le associazioni ecclesiali a rimanere saldamente ancorate alla Chiesa locale, alle diocesi, ai parroci, ai vescovi. Un legame necessario non per il controllo, ma per l’armonia: “Solo se insieme obbediremo allo Spirito Santo, il futuro sarà meno buio”.
Una spiritualità che cambia i cuori, non solo le agende
Nel messaggio del Pontefice si avverte il desiderio di una Chiesa meno centrata su sé stessa e più capace di abitare la realtà con uno sguardo di tenerezza e libertà. Contro ogni clericalismo e rigidità ideologica, la spiritualità evocata dal Papa è quella “che sconfessa l’autoaffermazione, lo spirito di contesa, il dominio delle coscienze e delle risorse”.
“Il Signore è lo Spirito – ha detto con decisione – e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà”. Una libertà che non è fuga, ma responsabilità: verso la giustizia, verso i poveri, verso la pace.
Conclusione: un popolo di beatitudini
L’omelia si è chiusa con un invito forte e semplice: seguire Gesù “non con strategie mondane, ma con la via delle Beatitudini”. Una via che non richiede potere, ma solo vite aperte allo Spirito.
Concludendo, il Pontefice ha affidato il cammino della Chiesa a Maria, “Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa”. Una madre, come lo Spirito, che unisce, trasforma e accompagna.






















