Editoriale di Gori Claudio
C’è un tratto costante nel dibattito politico padovano a cui è impossibile, giornalisticamente, non assistere e non prendere una posizione apolitica ma critica e provocatoria: quando la sicurezza diventa reale, qualcuno si affretta a gridare allo scandalo. Questa volta è il sindaco Sergio Giordani, che si è detto “fortemente contrario” all’istituzione della cosiddetta zona rossa all’Arcella, un provvedimento deciso in Prefettura per rafforzare il controllo in una delle aree più sensibili della città.
La sua lunga e appassionata dichiarazione, indirizzata ai cittadini arcellani, è un piccolo capolavoro di retorica difensiva. Ma dietro il tono pacato e i buoni sentimenti, c’è una verità che non si può del tutto ignorare: Giordani non sta difendendo il quartiere. Sta difendendo una narrazione. La sua.
I controlli sono il problema? O è solo un problema di paternità? Il sindaco non mette in discussione l’utilità dei controlli: anzi, si dice favorevole a rafforzarli. Ma si oppone alla loro “forma”. Perché? Perché la parola “zona rossa” – usata per semplificare un’area a sorveglianza intensificata – gli suona male. È un’etichetta, dice, che macchia l’immagine dell’Arcella. Eppure, lo stesso modello, adottato intorno alla stazione, ha portato risultati concreti. A dirlo non sono esponenti di partito o persone con interesse di parte, ma i numeri delle forze dell’ordine. Giordani lo sa. Ma preferisce ignorarlo. Il punto, infatti, non è mai stato la sostanza del provvedimento. Il punto è chi lo propone. Se viene da Roma, e in particolare da esponenti leghisti ovvero di opposta fazione alla sua, allora è per definizione sbagliato. Poco importa che i cittadini lo chiedano da anni. Poco importa che i dati giustifichino un’azione straordinaria. Il problema non è tecnico. È politico. O forse personale? Personalmente non sono interessato ai colori opposti tra le parti, potrebbero essere anche rovesciati, ma in gioco c’è la qualità della vita di tutti i cittadini, la sicurezza personale e gli stessi arcellani e stesse arcellane che vengono messi e messe tutti insieme nel “mucchio” ma sono cittadini e cittadine e non semplicemente un agglomerato di elettori o elettrici.
Il sindaco dell’immagine? Secondo Giordani, definire “zona rossa” un quartiere significherebbe comprometterne la reputazione. Ma la vera domanda è: cosa compromette di più l’immagine dell’Arcella? Un piano di controlli straordinari per garantire sicurezza, o l’inerzia? Davvero si pensa che l’assenza di provvedimenti equivalga a un’assenza di problemi? Chi vive l’Arcella lo sa bene. La realtà quotidiana – fatta anche di microcriminalità, disagio sociale e degrado crescenti – non viene cambiata con una narrazione ottimista. Viene cambiata con azioni concrete. I cittadini non chiedono slogan rassicuranti, chiedono interventi credibili.
Il valore delle case e altre paure non possono essere usate come scudo. Uno degli argomenti più fragili agitati dal sindaco riguarda il presunto calo del valore immobiliare. Una previsione discutibile e smentita dai dati di molte altre città, dove interventi di sicurezza hanno portato l’effetto opposto: più ordine, più attrattività, più fiducia nel futuro. La verità è che la sicurezza fa bene al mercato. È l’abbandono a far fuggire residenti e investitori. Anche l’idea che i controlli possano “spostare i delinquenti altrove” è una mezza verità usata da anni per giustificare l’immobilismo. Se davvero ci si preoccupa degli effetti collaterali, si lavori per un piano coordinato in tutta la città, non per il boicottaggio dell’unico quartiere dove si agisce.
La domanda sorge spontanea: chi sta davvero danneggiando l’Arcella? Giordani accusa la Lega e il Governo di voler mettere in cattiva luce l’Arcella. Ma non è stato certo il Viminale a far crescere negli anni la percezione di insicurezza in quella zona. E non sarà certo l’opposizione a “marchiare” il quartiere e non deve indirettamente farlo la maggioranza dell’Amministrazione padovana, quanto piuttosto chi, pur avendo la responsabilità diretta, si rifiuta di chiamare i problemi con il loro nome, per paura che la realtà rovini la narrazione. Non si può chiedere alle istituzioni dello Stato di intervenire solo a condizione che non disturbino l’immagine costruita con fatica da un’Amministrazione. La sicurezza è un diritto, non una variabile di marketing.
Conclusione? Apparentemente Giordani, volontariamente o suo malgrado, ha scelto lo scontro, non la soluzione. Alla fine, l’impressione è che il sindaco abbia scelto lo scontro per esigenze di bandiera. Avrebbe potuto collaborare, chiedere aggiustamenti operativi, contribuire alla definizione delle misure. Invece ha scelto la linea della contrapposizione. Non contro i criminali, ma contro chi vuole combatterli.
Peccato. Perché i padovani, anche quelli dell’Arcella, meritano di più di una guerra di posizionamento. Meritano verità, concretezza e una classe dirigente che sappia fare squadra. Anche quando il merito è di qualcun altro.
Gentile sindaco, se mai leggerà questo editoriale ebbene lo consideri come un contributo a favore dei padovani, anche degli arcellani e arcellane, affinchè possa essere un momento di maggiore riflessione su ciò che è più giusto o meno opportuno per un livello di sicurezza e qualità della vita di tutta Padova.





















