di Gori Claudio
Era il 23 maggio 1992. Alle 17.58, un boato squarciò l’autostrada Palermo-Trapani, all’altezza dello svincolo per Capaci. Un’esplosione di oltre 500 chili di tritolo, piazzati in un canale di scolo, fece saltare in aria un tratto di strada, cancellando in un istante Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
UN ATTACCO ALLO STATO, UN MESSAGGIO DI TERRORE, UNA FERITA ANCORA APERTA.
Ma da quella devastazione, negli anni, è nata anche una tenace volontà di resistenza civile e memoria attiva. A incarnarla oggi è l’Associazione “Scorta Falcone – Quarto Savona 15”, fondata da chi quella strage l’ha vissuta sulla pelle, sfiorata per destino, e che ha deciso di trasformare il dolore in testimonianza.
“IO DOVEVO ESSERE LÌ”
Luciano Tirindelli era uno degli agenti della scorta di Falcone. Quel sabato pomeriggio, per puro caso, non era alla guida di una delle due Croma blindate. Quel turno lo avevano chiesto altri colleghi, tra cui Antonio Montinaro. Da allora, Tirindelli non ha mai smesso di raccontare.
“Portiamo avanti la memoria non solo per onorare i nostri amici, ma per costruire coscienza. La mafia non teme i magistrati: teme le idee che camminano sulle gambe dei giovani.”
Oggi, insieme ad altri sopravvissuti, porta in tutta Italia una testimonianza viva e concreta: non un ricordo fermo nel tempo, ma una voce che interroga il presente e chiama all’impegno.
Ieri sera a Padova Tirindelli ha portato la sua esperienza, il suo vissuto come scorta di Falcone e lo ha fatto con la sua voce. Una voce che testimonia come le idee viaggiano con le gambe degli altri, così come lo stesso giudice dichiarò: “gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini.”
LA FORZA DELLA MEMORIA, L’URGENZA DELLA LEGALITÀ
Dal 2020, l’Associazione promuove incontri pubblici, dibattiti nelle scuole, seminari universitari, con un obiettivo preciso: radicare la cultura della legalità nei cuori e nelle menti delle nuove generazioni.
È tra i banchi di scuola che si gioca oggi la partita più delicata. Perché i ragazzi, spesso inconsapevoli della nostra storia recente, sono anche i più esposti al rischio di banalizzare la violenza, normalizzare l’illegalità, lasciarsi affascinare da modelli deviati.
Falcone temeva il pensiero mafioso più dei mafiosi. Perché è un virus che si infiltra nel quotidiano, mimetizzato, persuasivo.
Ed è proprio per contrastare questo pericolo che la testimonianza diretta diventa un potente strumento educativo: non una lezione frontale, ma un incontro umano, emotivo, autentico. Un dialogo capace di lasciare il segno, dentro e fuori le aule.
«Quel sabato pomeriggio del 23 maggio 1992, io dovevo essere lì. Sarei dovuto essere alla guida di una delle due macchine. Invece, a mia insaputa alcuni colleghi – dichiara Luciano Tirindelli – chiesero di fare il turno pomeridiano tra cui il collega Antonio Montinaro.»
I GIOVANI COME ANTIDOTO ALL’INDIFFERENZA
Ogni incontro è un ponte tra passato e presente: tra chi ha vissuto l’orrore sulla propria pelle e chi oggi è chiamato a scegliere da che parte stare. Perché la mafia, oggi, non spara sempre: si insinua, si veste da potere economico, da finta normalità, da silenzio complice.
L’obiettivo non è solo commemorare: è attivare coscienze, accendere spirito critico, costruire anticorpi sociali.
“I ragazzi – spiega Tirindelli a nome dell’Associazione – sono quelli con l’anima più libera, la mente più aperta. Sono loro i custodi del futuro. A noi il compito di raccontare. A loro, quello di scegliere.” Ieri sera a Padova c’erano molti ragazzi e ragazzini accompagnati dalle famiglie, il pubblico era ipnotizzato dalla narrazione di Tirindelli che sviscerava il dietro le quinte della vita da agente di scorta del giudice più in pericolo d’Italia all’epoca: Giovanni Falcone e com’egli lo era anche il suo collega magistrato e amico Paolo Borsellino.
UN IMPEGNO CIVILE, UN DOVERE MORALE
L’Associazione “Quarto Savona 15” – dal nome in codice della scorta di Falcone – oggi non è solo un presidio di memoria, ma un’avanguardia civile. Una realtà che collabora con amministrazioni comunali, scuole, università, costruendo insieme momenti di riflessione, crescita e consapevolezza.
La loro attività è un antidoto contro l’oblio e contro quel pericoloso senso comune che vorrebbe la mafia “un problema del Sud”, o un fenomeno ormai lontano.
“La criminalità organizzata ha cambiato volto. Non è più solo lupara e intimidazioni. È economia inquinata, è consenso sociale – dichiara Tirindelli durante la testimonianza padovana – cercato a colpi di favori, è silenzio imposto da mille ricatti invisibili.”
UNA FERITA CHE NON DEVE CHIUDERSI
A 33 anni dalla strage di Capaci, l’Italia ha ancora bisogno di Falcone. Non solo del magistrato, ma soprattutto dell’uomo e dei suoi ideali: giustizia, equità, rigore morale. La testimonianza dei sopravvissuti della scorta è una chiamata alla responsabilità collettiva: per un Paese che non dimentica, che non si piega, che educa.
Perché la memoria non è un esercizio del passato: è un atto di giustizia per il presente.