La posizione del sindaco Giordani sulla zona rossa è di difficile comprensione, credo rappresenti un ‘racconto’ di questa splendida città talvolta surreale. L’Arcella – dichiara Fabio Bui, esponente dei Popolari per il Veneto e già Presidente della Provincia di Padova – è un quartiere ricco di storia, di significative iniziative di integrazione e di collaborazione grazie anche alla interculturalità dei residenti: la stragrande maggioranza dei cittadini sono persone perbene che vivono attivamente la vita comunitaria del quartiere. Inutile però nascondere la polvere sotto il tappeto, nascondendo i problemi che una concentrazione così importante di immigrati problematici porta nella zona.
Non è questo un primato solo padovano: ogni grande città ha le sue zone problematiche, siano esse governate da destra che dalla sinistra. Le zone di degrado esistono ovunque e vanno combattute con interventi di sostegno sociale, preventivo e repressivo. A Padova però ad una delle soluzioni possibili come il maggiore controllo con le forze dell’ordine, il sindaco sceglie di tutelare l’immagine più che la sicurezza dei cittadini, ingaggiando una polemica con la Prefettura che rappresenta il Governo nel territorio.
Un conflitto istituzionale talmente evidente – prosegue Fabio Bui dei Popolari per il Veneto – che per trovare analogie occorre tornare molto indietro negli anni, laddove l’ex primo cittadino contestava le scelte dell’allora Prefetto sull’accoglienza diffusa dei migranti piuttosto che la concentrazione in hub. Chiunque viva o lavori all’Arcella, e non la attraversi solo per le foto delle brochure elettorali, conosce benissimo i problemi: spaccio e episodi di illegalità diffusa sono visibili anche ai più disattenti passanti, figuriamoci per i residenti.
La zona rossa è certamente una soluzione che da sola non risolve, ma è innegabile che contribuisce a dare percezione di sicurezza ad un quartiere che anche tramite la presenza delle forze dell’ordine trova tranquillità e valorizzazione. Quindi ben venga la zona rossa che al di là del nome, non è altro che una intensificazione temporanea dei controlli in una zona a particolare concentrazione di fenomeni di illegalità”, decretata dal comitato sulla sicurezza pubblica non su desiderata ma sul riscontro di dati oggettivi. Non si svaluta un quartiere per maggiori controlli delle forze dell’ordine, ma piuttosto per la percezione di insicurezza determinata da episodi e presenze poco rassicuranti nel quartiere.
Fa bene il Sindaco, ad elencare gli interventi di miglioramento attuati nella zona, ma a fianco di questi – prosegue Bui – non può ignorare i risultati che si ottengono con le cosiddette zone rosse. Tra un marciapiede e un parco, non si dimentichi di considerare quante denunce sono rimaste senza risposta, quante famiglie sono state costrette a traslocare, quante donne evitano di rientrare a casa da sole alla sera.
Le zone rosse sono uno degli strumenti non certamente l’unico: perché rinunciarvi pregiudizialmente? Vuole forse garantire un racconto della città edulcorato e non rispondente ai problemi reali che insistono ancora? Non vanno taciuti. La sicurezza è né di destra né di sinistra. È un diritto che le istituzioni unite devono garantire con ogni mezzo – conclude Bui – e nell’ambito delle competenze che loro affidate.
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